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Come in tutti i periodi in cui la mia condizione – vuoi per preparazione approssimativa, vuoi per acciacchi fisici – non è ottimale, eppure la voglia di correre e gareggiare è intensa, mi chiedo se un podista abbia il diritto di correre piano...

Tito Tiberti

Il discorso di andare “piano” naturalmente va preso in senso relativo: ciascuno prenda come idea del “correre  forte” la propria forma migliore, non termini di paragone assoluti come i corridori africani. Facevo scaturire alcune riflessioni dall'idea diffusa del pettegolezzo sportivo, quanto mai spiacevole nel nostro ambiente. Tutti abbiamo qualcosa di cui squittire sul compagno di squadra, sul vicino di casa oppure sul campioncino che non rende abbastanza...

... (o che rende troppo), o ancora sullo straniero che arriva dal nulla e rompe le uova nel paniere degli eroi locali... Al di là della poco costruttiva cultura del sospetto nei confronti di chi ci sembra vada troppo forte, c'è l'altrettanto sgradevole abitudine di criticare chi non stia correndo bene come potrebbe (spesso senza conoscere le ragioni del rendimento scarso o sub-ottimale della vittima del nostro chiacchiericcio).

Io stesso talvolta cedo alla tentazione della chiacchiera a vanvera, ma in tutte le occasioni mi bastano cinque minuti da solo per dirmi: “ma non avevi proprio argomenti migliori di cui parlare?”, oppure “ma quando sei tu ad andare piano non ti mandano in bestia le critiche gratuite?”.

Già, infastidiscono... Anche perché un atleta che stia correndo piano può avere mille ragioni per farlo, per esempio:

-      è stato infortunato e sta riprendendo con gradualità;

-      è ancora mezzo infortunato e si sente in dovere di disputare una gara per ragioni societarie;

-       per ragioni di programmazione agonistica sceglie di affrontare un periodo della stagione senza “ammazzarsi” di allenamenti;

-      ha mangiato troppa polenta e spiedo (sono di Brescia, deformazione geografica!) e ha qualche etto da smaltire;

-      ha le sue brave paturnie e non è proprio dell'umore di spremersi in allenamento e/o gara;

-      alcuni dei fattori sopra elencati si manifestano in contemporanea;

-      tutti i fattori sopra elencati si manifestano in contemporanea (che sf... ortuna!).

 

Ho un po' la coda di paglia, ora mi sento di appartenere a più di una delle fattispecie descritte e non sto correndo forte, ma la voglia di allenarmi c'è, il peso rientra pian piano nella norma e la condizione cresce – nonostante alcuni stop parziali causati dal mal di schiena...

Ma se non sentissi che correre piano è una mia facoltà cosa dovrei fare? Rinunciare alla voglia di correre e confrontarmi con gli avversari (o anche semplicemente al piacere di calcare un campo di gara in canotta e calzoncini)? Gareggiare quelle poche volte che la sorte concede di essere al meglio? Oppure è lecito mettersi il cuore in pace e fare quel che si può con dignità e col sorriso? Dare il massimo anche se si è a minuti dal proprio personale sulla distanza?

Io sono dell'idea che siamo corridori quando ci sentiamo invincibili ed anche quando ci sentiamo un po' sgonfietti. Quando stiamo bene dobbiamo provare a vincere la sfida con noi stessi, quando stiamo meno bene dobbiamo costruire quel che potrà darci soddisfazione.

Intanto so che per correre piano bisogna stringere i denti più di quando sappiamo correre forte; e imparare a stringere i denti e tirare avanti è una lezione di vita che pochi sport danno...